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3 soluzioni per non essere poveri e depressi

Scritto da Moneysurfers | 20 marzo 2018

Partiamo da una situazione economica che bene caratterizza il nostro periodo storico recente: i tassi d'interesse negativi.

Cosa significa che i tassi sono negativi? Significa che se investi in titoli di stato invece che guadagnarci (tassi positivi), ci perdi.

Ma l'effetto non rimane limitato ai titoli di stato.

Facciamo un esempio su tutti.

Tempo fa la banca cooperativa tedesca Raiffeisen Gmund, ha fatto sapere attraverso un comunicato stampa che avrebbe fatto pagare lo 0,4 % annuo ai propri correntisti con più di 100.000 euro sul conto. Alla Raiffeisen si è poi subito aggiunta la ben più grande Postbank.

Il sottotitolo della notizia?
Tenere i soldi in banca non rende, ma ha addirittura un costo.

La teoria economica dice che i tassi d'interesse bassi (o in questo caso persino negativi) dovrebbero far ripartire l'economia e i consumi. Se mi costa tenere il denaro in banca tanto vale spenderlo. Se mi costa poco prendere soldi in prestito tanto vale fare un mutuo per costruirmi la casa, dando lavoro ad un'impresa di costruzione e mettendo in circolo denaro.

L'equazione però non sta funzionando. I tassi sono bassi ma l'economia non riparte.

Perché?


La verità è che l'economia italiana è ferma e i signori in giacca e cravatta dalla BCE non riescono, attraverso i loro calcoli macroeconomici, a rimettere in moto il motore dell'economia. Si è quindi parlato di quantitative easing che non funziona (cioè un’iniezione di denaro nell’economia da parte di una banca centrale) e di helicopter money, cioè della possibilità di dare direttamente i soldi in mano ai correntisti per sperare che li spendano.

Il problema però rimane a monte. Le banche tedesche infatti esplodono di soldi, ma la gente non spende.

Il pervadente messaggio mediatico di crisi e di paura, porta le famiglie a trincerarsi in casa infilando i soldi sotto al materasso.

La curva dei cicli economici ci dice che c’è una fase in cui la suddetta curva sale, c'è ottimismo e frenesia, euforia che porta all'apice di un ciclo economico. Dopodiché c'è un crollo (2006) che porta ansia, paura, disperazione e vero e proprio panico (ricordate la faccenda dello spread?). Fino ad arrivare alla fase più bassa, che è quella dell'abbattimento e della depressione, dove la mancanza di speranza ci fa entrare nella modalità risparmio.

La depressione quindi non è solo di tipo economico, ma propriamente psicologico. La depressione fa la povertà, la felicità fa i soldi. E questo noi ve lo diciamo spesso.

Da dove deriva questa depressione e come uscirne?

Innanzitutto le cattive notizie e le tragedie fanno audience, e dobbiamo metabolizzarlo. La disgrazia e l'incidente inconsciamente ci incuriosiscono e i media giocano al rialzo, dandocene sempre di più.
Dobbiamo quindi capire che siamo intrappolati in un meccanismo che psicologicamente ci deprime.

Un inferno che ci costruiamo noi stessi.

Accendiamo la tv o apriamo a home di Facebook e vediamo sgozzamenti, migranti affogati in mare, attentati terroristici e chi più ne ha più ne metta.


Perché gli Stati Uniti sono usciti dalla crisi e noi no?

Al di là di una serie di ragioni economiche e politiche, c'è sicuramente un fattore emozionale e psicologico. Dopo l’arrivo (pesante) di crisi e depressione, si sono rimboccati le maniche e sono riusciti a ripartire. E in ciò il peso della comunicazione non è stato poco.

Ricordate lo spot televisivo motivazionale della Chrisler, mandato in onda per il Superbowl 2012? 

Clint Eastwood che parlava agli americani della crisi del mercato dell’auto e della depressione che stava attanagliando tutto il paese. Diceva: "è solo il primo tempo, America, e il secondo sta per cominciare". Ci sarà pur della retorica in questo, ma a quanto pare ha funzionato.


Ragioniamo quindi in primis su come vibrano le nostre coscienze in relazione alle strategie mediatiche.

Il passo successivo è rialzarsi, e il processo deve partire dalle persone comuni e dalle piccole e medie aziende. Il motivo è molto semplice: perché le entità multinazionali sono immobilizzate dalla loro stessa mole.

Noi la chiamiamo finanza obesa ed esemplificativi sono i fondi di investimento. La più grande compagnia di gestione fondi d'investimenti è Blackrock, che ha sotto gestione oltre 5 mila miliardi di dollari. Per fare un paragone, il pil dell'italia è intorno ai 2 mila miliardi. Quindi vale più del doppio del nostro paese. Altri esempi sono il Vanguard Group con 3 mila miliardi o UBS con 2 mila e passa miliardi.

Sono fondi giganteschi, che investono solo in mercati molto grandi. Non fanno contratti con investimenti sotto il miliardo di dollari. Non vanno a investire nella piccola impresa, ma più frequentemente lo fanno in titoli di stato. Rimane quindi tutta una serie di opportunità disponibili, cioè tutte quelle in cui questa finanza obesa non investe.

Quello che serve è un vero e proprio cambio di prospettiva sul capitalismo. Un cambio di rotta su come vediamo il denaro.

Siamo in un momento nuovo e dobbiamo rendere i soldi uno strumento di emancipazione spirituale, un mezzo di crescita. Non dobbiamo avere paura.

Ma come fare?


1) Non contribuiamo a diffondere la paura. Proviamo per un anno a non condividere più una notizia negativa sui social network. E a condividere invece quelle positive, che sono il virus benefico più potente contro la depressione.

2) Blocchiamo lo smog psichico. Il chiacchiericcio e le lamentele. Mettiamo un bel depuratore dentro noi stessi, che ci liberi dalle nostre emissioni tossiche di smog psichico.

3) Ammettiamo la nostra cultura del denaro. Non snobbiamo i soldi, perché per far ripartire l'economia dobbiamo sapere come funzionano.

Quindi in definitiva facciamo in modo che quello che più risuona dentro di noi sia anche ciò che ci fa produrre denaro. Siamo in un momento storico in cui un'idea potente può fare strada e realizzarsi. Gli speculatori sono soliti dire che bisogna investire quando il sangue è per le strade. Nel momento di massima depressione c'è la massima opportunità. La ricchezza consapevole è dentro di noi e là fuori che ci aspetta. Ma noi la sappiamo vedere?