Scorrendo il dito sul touch-screen del mio telefono non posso fare a meno di cliccare su di un titolo de Il Post, il mio giornale online preferito, “Le persone più ansiose sono anche le più intelligenti”. Che spunto meraviglioso. Ancora prima che si carichi la pagina ho già la netta sensazione di sapere dove voglia andare a parare l’articolo. E infatti così è: la classica ricerca scientifica che sembra fatta apposta per scrivere articoli come quello, dimostra che le persone che si preoccupano di più hanno mediamente un quoziente intellettivo più alto. Da qui nasce, dentro di me, la voglia di ridere fragorosamente, ma purtroppo sto leggendo l’articolo in un caffè affollato di altri nomadi digitali e cedo al non-coraggio di passare per pazzo.
L’articolo prosegue con teorie che un buon lettore di Guenon faticherebbe a non definire volgarmente “quantitative” (mi scuso per la citazione esoteric-chic), dove si supporta la scoperta accademica ricordandoci che, in effetti, le persone più intelligenti hanno tipicamente una visione più ampia, che va oltre l’istante/presente e che, come una macchina che accende gli abbaglianti, pre-vedono già le potenziali complicanze che ci attendono laggiù, nel futuro. Per questo, gli intelligenti si pre-occupano, traslano sé stessi nel futuro in modo da poter minimizzare gli inconvenienti e ottimizzare le loro vite. Non fa una piega no? No e infatti è il solito p(i)attume kaliyughiano che ci parla. Sempre le solite problematiche legate al linguaggio, ai significati sballati delle parole, alle banalità utilitaristiche della cosiddetta modernità che viviamo.
Veniamo a noi. Primo: essere intelligenti per come viene misurato oggi significa essere dei semplici culturisti dei neuroni e non Intelligenti con la I maiuscola. Essere intelligenti oggi significa essere veloci e rapidi a risolvere quesiti di ‘logica’ meramente ‘quantitativa’ (ancora Guenon). Tutto ciò potrà tornare utilissimo per trovare un impiego da Google ma, ahinoi, completamente inutile per ottenere anche la minima dose di felicità incondizionata, di beatitudine e Intelligenza Creativa. Quella vera. Siamo nel 2015 e ancora inseguiamo il valore dell’intelligenza, del tipo con la “i” minuscola. Un secolo di psicanalisi, la crisi d’identità del mondo occidentale che ci stritola e noi che facciamo? Andiamo avanti, imperterriti, a fare sempre gli stessi errori. Manca meno di un’ora all’atterraggio dell’aereo da cui scrivo, mi sono obbligato a finire l’articolo ‘per aria’, sono costretto a non divagare e rimanere sul pezzo, quindi, a costo di banalizzare, stringo.
Come possiamo non accorgerci che in questo articolo, incriminato, si nasconde la soluzione a tutti i mali. Letteralmente. E’ lì, dietro l’angolo e non la vediamo. Non si tratta di scrivere un trattato di apologia dell’ignoranza, lo dice bene anche l’articolo: le persone più semplici non sono ansiose. Basta fare un qualsiasi viaggio in India o in Africa per rendersene conto: Freud/Jung/Lacan non sarebbero mai potuti nascere a Dubai. La soluzione non è la ridicola nostalgia per l’ignoranza. Non lo dico io, ma i più grandi saggi venuti da quelle terre qui in occidente. Perché è qui che si gioca la partita che conta. E’ qui in occidente che lo scatto successivo dell’evoluzione terrestre dev’essere fatto. Ed è proprio dalle persone ansiose, dunque “intelligenti” che deve arrivare quest’impulso.
Una volta che ci accorgiamo che la nostra super “intelligenza quantitativa” è talmente inutile da non permetterci nemmeno di essere “padroni a casa nostra” e dominare le nostre emozioni/stati d’animo, il gioco dovrebbe esser fatto e l’inganno finalmente svelato. E invece no, nell’articolo non ci si pone nemmeno il problema. In altre parole, a che ci serve vantarci del nostro QI, allenare i neuroni sui libri manco fossimo alla Virgin Active, per poi soffrire di attacchi di panico?
E’ giunto il tempo di ridefinire il concetto di Intelligenza, di spostare l’epicentro delle attenzioni che dedichiamo al nostro corpo dal cervello, al cuore. La vera intelligenza risiede lì. È “piccola come un seme di mostarda” dicono i Lama tibetani e, se cercata, allenando il cuore (no, non facendo ‘cardio’ con l’Apple Watch per misurare i battiti) porterà la botte piena e la moglie ubriaca. La pace dei semplici e la consapevolezza degli intelligenti.
L’Intelligenza del Cuore, se ben allenata, renderà quasi inutile la pre-occupazione. La relegherà alle piccole faccende operative di tutti i giorni, per es: ho rinnovato la carta d’identità che domani devo prendere l’aereo? L’Intelligenza del Cuore, se ben alimentata, ci renderà consapevoli che una sana imprevedibilità è lo spazio che dobbiamo lasciare all’Immanifesto, per servirci. Nessuno meglio di lui sa farlo, perché occuparsene al suo posto? L’Intelligenza del Cuore, se ben praticata, ci permetterà di risparmiare energia e veicolarla nelle direzioni più proficue. Ebbene sì, l’Intelligenza del Cuore ci rende più ricchi, anche materialmente. L’Intelligenza del Cuore non la trovi solo alla Caritas, essa è e sa essere incredibilmente business-oriented. Sogno un corso alla Bocconi (ma i tempi sono molto più vicini di quanto possiamo immaginare) dedicato alla “Scienza dello Spirito”, dove gli esami si svolgeranno misurando lo spessore, e il colore soprattutto, del nostro Corpo Astrale.
Persino i più grandi scienziati ammettono che le più grandi scoperte sono dovute al “caso”. E’ quasi sempre così, mentre si cerca di dimostrare qualcosa si scopre qualcos’altro. L’importante è darsi da fare, spegnere gli abbaglianti, sbarrare gli occhi e vivere il presente. Con Fede.
Davide Franceschini
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