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Ecco perché il vino è l’investimento perfetto (grazie alla blockchain)

Scritto da Moneysurfers | 20 marzo 2018

In vino veritas, dicevano gli antichi romani: nel vino c’è la verità.

Ogni bottiglia racconta una storia, o almeno così dovrebbe essere. Nel Barolo ci sono le Langhe piemontesi, nel Chianti e nel Brunello di Montalcino assaporiamo i vitigni delle colline toscane, il Valpolicella ci parla di Verona e del Veneto. Pensiamo poi alla regione dello Champagne, eclissata in notorietà dal suo più celebre prodotto tipico. 

Il vino è storia liquida e in quanto tale vale oro. No, non in senso figurato.

Nulla contro i metalli preziosi, che in questo momento rappresentano ottimi investimenti. Ma ci sono vini italiani, quale l’Ornellaia, che negli ultimi anni sono cresciuti in valore del 160%, zittendo gran parte del mercato delle commodities.

Oltre alla verità, nel vino ci sono anche un mucchio di soldi. È faccenda non solo da ubriaconi, ma anche da astuti investitori. Soprattutto in un momento in cui molti presagi ci sussurrano di differenziare i nostri capitali, pochi o molti che siano.

Perché quindi non investire in qualcosa che oltre a renderci ricchi trasuda storia, sapori e tradizione?

Attenzione, però: bere (e investire) responsabilmente. Ci sono vini “più veri” di altri, e le cantonate sono dietro l’angolo.

 

IN VINO… TRUFFA!

Quello del vino è un mercato atipico. Mentre su ciò che mangiamo troviamo per legge una lista degli ingredienti utilizzati, l’etichetta di un vino si limita a proclamare sapori fruttati, un corpo denso e un colore paglierino, insieme alla percentuale di alcol presente.

Come capire quanto di ciò che leggiamo è marketing e quanto è effettivamente qualità?

Che dire di additivi artificiali o del processo utilizzato? È stato prodotto con diserbanti chimici? Da quale vigneto proviene precisamente? Quante volte il vino ha cambiato mano dal produttore a noi? È stato tenuto a temperature che ne hanno alterato sensibilmente la qualità?

Parlando di vino, queste sono tutte informazioni fondamentali, che al supermercato come in enoteca, non troviamo.

Un altro grosso problema è quello della contraffazione, emerso a livello globale con l’affare Rudy Kurniawan: un indonesiano residente in California che ha fatto una fortuna come collezionista e venditore di vini rari e pregiati. Questo prima di esser stato condannato a 10 anni di galera e quasi 50 milioni di dollari di risarcimento per esser stato beccato a produrre lui stesso alla buona quei vini nella sua cantina, contraffacendone le etichette.

Per gli investitori questo rappresenta un grosso grattacapo, perché tanti dei vini più pregiati al mondo sono talmente costosi che non vengono quasi mai assaggiati, e sono veramente poche le persone in grado di autenticarne in modo univoco il valore. 

Sarà capitato almeno una volta anche a noi, di assaporare un rosso non proprio economico al ristorante e di chiederci se ne valeva effettivamente la pena. Il dubbio sorge, e purtroppo quelli della contraffazione e della tracciabilità sono problemi anche Italiani, che possono causare ingenti danni agli investitori e guastare un mercato decisamente frizzantino

 

ARRIVANO LE ETICHETTE INTELLIGENTI

Oggi siamo tutti un po’ più all’erta su cosa stiamo bevendo e, da che mondo è mondo, nessun investitore vuole essere fregato. 

Everledger è un’azienda che utilizza la blockchain per tracciare la storia dei diamanti, arginando il mercato nero e le truffe. Dai diamanti al vino è stato un passo, e il suo Chai Wine Vault è oggi uno dei sistemi che ci permettono di leggere la carta d’identità digitale del vino che stiamo acquistando, scoprendone i metodi di preparazione e l’intero processo che lo ha portato nelle nostre mani, semplicemente con uno smartphone. Un “km zero virtuale“, che massimizza la fiducia tra produttore, consumatore e investitore. 

La blockchain permette infatti di attestare le informazioni su una bottiglia di vino in modo univoco e impossibile da contraffare. Tema piuttosto caldo nel nostro paese, data la quantità di vini esteri spacciati per italiani, magari prodotti in modo industriale e che competono sul costo a scapito della qualità.

Etichette intelligenti, dunque, ottime sia per sapere cosa si porta in tavola, sia per l’accesso sicuro a un mercato estremamente interessante e redditizio, con una crescita del 22% annua sulle vendite all’asta (Sotheby’s), un indice dei 100 vini più quotati del mondo (il cui valore è aumentato del 130% negli ultimi 10 anni) e un mercato asiatico in forte crescita, che copre oggi il 56% degli acquisti globali.

Indice Liv-ex Fine Wine 100

Se avete ancora dubbi, vi basti pensare che 1 euro investito in borsa nel 2001 oggi avrebbe fruttato 1,6 euro. Lo stesso euro in vino ne avrebbe dati 5,4.

Due dritte finali d’obbligo. L’Italia ha aperto le danze delle etichette intelligenti con una Falanghina, e i vini italiani si sono dimostrati un investimento più stabile e sicuro rispetto a quelli francesi.

Insomma, se proprio ci andrà male potremo sempre stappare il nostro investimento e gustarcelo in compagnia. E con le etichette intelligenti il godimento sarà assicurato.

Alla prossima onda.