Una ricerca ha dimostrato che solo il 13% dei lavoratori è soddisfatto del proprio lavoro. L’87% non non lo è.
E’ sconvolgente. Ma ci stupisce? Forse no.
Ci sono 3 domande che l’essere umano si è posto sin dalla notte dei tempi. Chi sono? Dove vado? Qual è il lavoro dei miei sogni?
Sembra che 9 persone su 10 nel mondo non abbiano ancora trovato una risposta, e che molti (intanto che la cercavano), abbiano firmato un piccolo contratto col diavolo, mettendo sul piatto una parte significativa della propria vita in cambio di denaro.
Questo però non è per dirvi di mollare il vostro lavoro. Non fatelo. O almeno, non fatelo se non siete pronti. La strada per la libertà, contrariamente alla retorica comune, non è un percorso che si intraprende da un giorno all’altro. “Molla tutto e apre un bar in Costa Rica”, è uno dei tanti titoli che i quotidiani online buttano sulle nostre home di Facebook per strappare click. E la storia del bar in Costa Rica è vecchia: la tiravano in ballo già Aldo Giovanni e Giacomo in Tre uomini e una gamba, se ricordate.
REALTÀ VS MONDO DELLE FAVOLE
La situazione su cui si basa questa vecchia storia però è reale. Ogni volta che lavorare diventa un obbligo, che assolviamo per ricevere in cambio uno stipendio, non stiamo tirando fuori il meglio di noi stessi. Non abbiamo gli occhi sognanti, non ci svegliamo la mattina con la grinta di chi si trova nel posto giusto, al momento giusto e col lavoro giusto. I nostri occhi sono spenti, i nostri sogni li seguono a poco a poco.
E allora mollare tutto e buttarci su qualcos’altro sembra una soluzione. Ma può anche finire col diventare una cattiva abitudine. Rincorrere la felicità saltando di lavoro in lavoro ha tutte le carte in regola per trasformarsi in un processo schizofrenico, per nulla migliore del precedente.
Lo psichiatra austriaco Viktor Frankl ha una spiegazione per questo. Gli esseri umani non sono programmati per volere la felicità. Pensiamo di voler essere felici, ma in realtà quello che vogliamo è una ragione per essere felici.
Frankl è vissuto nel secolo scorso, ed è sopravvissuto alla deportazione in quattro diversi campi di concentramento, tra cui Auschwitz e Dachau. La sua esperienza gli ha insegnato che le ragioni per essere felici sono tre: un progetto, una relazione significativa e una visione salvifica del dolore. Insomma, siamo esseri umani che cercano un senso, nelle relazioni come nel lavoro.
Questo ci porta al pensiero di mollare tutto e dedicarci ai nostri sogni. Fondare una start up, fare l’attore di cabaret o aprire il celebre bar in Cost Rica. Come Jeff Goins ci spiega nel suo nuovo libro, questa è una mentalità che ereditiamo dalle favole. Le favole iniziano sempre con una situazione di normalità quotidiana. Cenerentola è intrappolata in un lavoro opprimente, fino a quando non conosce il principe, e tutto si stravolge. Belle, ne La Bella e la Bestia, vuole fuggire dalla vita di provincia, così come lo desiderano Luke Skywalker di Guerre Stellari e tantissimi altri, che dalla notte alla mattina finiscono nell’avventura dei loro sogni. Nelle favole il cambiamento arriva da un momento all’altro. Nella vita reale il cambiamento va coltivato giorno per giorno.
VUOI REALIZZARE UN SOGNO? INIZIA A PRATICARLO
Bill Gates ha fondato Microsoft nel 1975, ha chiuso l’accordo con IBM 6 anni dopo, e gli ci sono voluti altri 5 anni per iniziare a guadagnare sul serio. Steve Jobs ha dato vita ad Apple un anno dopo il collega Bill, e prima di arrivare al successo sono passati anni, nei quali ha dovuto subire anche il licenziamento dall’azienda che aveva fondato, e nella quale è stato reinserito soltanto nel 1997. La storia di Google non è diversa, come non la è quella di tutti i geni della musica classica, che hanno impiegato almeno dieci anni di lavoro per creare opere significative.
La verità è che, più che da un giorno all’altro, la realizzazione di un sogno richiede verosimilmente 10.000 ore di pratica, come spiega benissimo Malcolm Gladwell. I maestri di scacchi non nascono maestri di scacchi, ma si applicano intensamente al gioco per anni. I Beatles, prima di diventare un fenomeno globale, suonavano negli strip club di Amburgo; Lennon e McCartney scrivevano pochissimi pezzi, e la maggior parte delle canzoni che suonavano erano cover, perché si sa, la gente non andava in quei luoghi per sentire i quattro di Liverpool.
Loro però stavano facendo pratica. Si allenavano per realizzarsi.
Queste e tante altre storie ci insegnano che un sogno non diventa realtà immediatamente. Mollare tutto buttandoci nel vuoto può sembrare stupendo, ma può anche portarci a voler tornare sui nostri passi dopo pochi mesi, se non ci saremo allenati per il cambiamento.
Il segreto è iniziare con poco, come insegnano i giapponesi nel kaizen, l’arte del miglioramento graduale e continuo. Possiamo iniziare identificando la vocazione (o le vocazioni) dentro di noi. Farlo è relativamente semplice: è qualcosa che non ci ha mai abbandonato, e che possiamo aver zittito, ma che non ci abbandonerà mai. Una volta che ci è chiara la nostra ragione per essere felici, dobbiamo gettarne le fondamenta. Possiamo vedere il nostro sogno come un palazzo, e noi stessi come dei muratori-architetti, che ne hanno il progetto in testa, ma che devono anche posarne un mattone alla volta, giorno dopo giorno.
Non costruiresti mai un palazzo dall’ultimo piano, giusto? Eppure sai che è là che vorrai abitare un giorno, e che arrivarci dipenderà da te.
Alla prossima onda.
(Foto di Henning Klokkeråsen)