“Compriamo cose che non ci servono con soldi che non abbiamo per impressionare gente che non ci piace.” (Fight Club)
Nel mondo del benessere galoppante, dell’industria 4.0 e del consumismo che la fa da padrone, parlare di crisi economica ha un po’ il sapore della contraddizione. Eppure c’è, ne parlano tutti e persino le vicende politiche degli ultimi mesi, se non addirittura anni, ne sono un chiaro messaggio.
Uno dei motivi che legano questo sentimento di crisi ad un contesto ricco come il mondo in cui viviamo è sicuramente il modo in cui questa ricchezza viene percepita, intesa e utilizzata. Perché la verità è che tutti tendiamo verso il "mito" della ricchezza, ma pochi scelgono di raggiungerla passando consapevolmente attraverso la “povertà”. No, non fraintendere, non parlo di quella povertà che non ti fa arrivare a fine mese: quando il MoneySurfer parla di povertà si riferisce all’altra faccia della ricchezza consapevole, cioè la Parsimonia.
La sfida delle 100 cose
Ti è mai successo di fare la valigia per un viaggio di sola andata e renderti conto che un buon 90% della roba che hai in casa, in fondo in fondo, non ti serve? Ecco, il “momento della valigia” ci sbatte in faccia la consapevolezza di come la nostra generazione, figlia di una classe consumistica senza vergogna, si sia fregata con le sue stesse mani, incatenando la propria vita alla vanità del possesso. E lo diciamo senza il minimo moralismo: non serve alcuna “dottrina morale” per capire che ciò che possediamo in realtà possiede noi, perché gli oggetti richiedono tempo, cura, attenzioni. Persino disfarsene richiede energia!
Eppure qualcuno, prima di noi, l’aveva già capito. L’americano Dave Bruno, autore de La Sfida delle 100 Cose, ci invita per l’appunto ad una sfida impegnativa: buttare, regalare o (meglio) vendere tutto ciò che di superfluo abbiamo per rimanere con soli 100 oggetti, ad esclusione ovviamente degli oggetti che condividiamo con gli altri. E come li scegliamo questi oggetti? Beh, la congenialità dell’oggetto dipende da ciò che per noi è superfluo. In tutto ciò può tornarti utile farti un paio di domande. Hai davvero bisogno di quell’oggetto? O è un bisogno indotto dalla pubblicità? È il doppione di qualcosa che già possiedi? Potresti noleggiarlo invece di possederlo? Quanto lo userai (pensa a quante volte userai in vita tua, non so, un trapano)? Ma soprattutto quanto ti distoglierà dalla tua vita?
C’è chi questa sfida l’ha presa di petto è ne ha fatto addirittura un business. Graham Hill, startupper americano, milionario manco a dirlo, quando ha capito che era entrato in un trip di acquisto compulsivo, ha deciso di trasferirsi in un monolocale di 40mq al centro di Manhattan, disfandosi di tutto ciò di superfluo che aveva (impiegando addirittura mesi). Ebbene, dovendo fare di necessità virtù, si è ritrovato a riorganizzare la sua vita secondo nuovi spazi vitali. Oggi gestisce Life Edited: una società di interior designing che rende vivibili stanze dove a stento ci entra un letto o un divano.
Minimal sì, ma non povero
Bada bene che la sfida delle 100 cose non è solo materiale, ma è la filosofia dell’essenziale che deve guidare i nostri passi anche nel contesto dell’investimento: evitare di fare trading su molti mercati contemporaneamente, non usare gli indicatori, fare poche operazioni ma buone; oppure, per un imprenditore, dedicarsi al proprio core business senza perdersi in progetti collaterali.
Ma la cosa ancora più importate è che tu riesca a prendere questa sfida come un esercizio e non come una scelta integralista. La sfida delle 100 cose va provata almeno un volta nella vita per capire quali sono i nostri limiti ed abituare la nostra mente all’elasticità: per disintossicarci dalla quantità di oggetti che ci circondano, che in fondo non significa essere “poveristi”, ma semplicemente disciplinati.
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